Un figlio di Scilla nei fronti più caldi del mondo: la storia di Vincenzo Porpiglia
Ha 35 anni, è nato e cresciuto a Scilla, nel cuore del reggino, e porta con sé l’orgoglio di essere calabrese in ogni angolo del mondo. Si chiama Vincenzo Porpiglia, ed è oggi uno dei punti di riferimento internazionali di Medici Senza Frontiere. Dopo anni di esperienza come coordinatore delle Emergenze, dallo scorso luglio ha assunto l’incarico di direttore delle operazioni nei Territori occupati in Palestina, con il ruolo di capo missione a Gaza e in Cisgiordania.
Pur non essendo un sanitario, Porpiglia ricopre un ruolo cruciale: è colui che dialoga con istituzioni, autorità locali e parti in conflitto per garantire che ospedali, cliniche e personale medico possano operare in aree devastate dalla guerra. Da lui dipendono scelte delicate: dove inviare le équipe dopo un bombardamento, come proteggere gli operatori sanitari, come assicurare l’accesso alle cure il più vicino possibile al fronte. Decisioni che spesso significano vita o morte per migliaia di persone.
La sua forza, racconta, nasce dalle radici. Vincenzo non dimentica mai la sua terra: «La fierezza di essere calabrese – dice – la porto anche nel mio modo di parlare. Considero il dialetto calabrese una delle mie lingue madri, accanto all’italiano e all’inglese. Un patrimonio che non rinnego e che mi ricorda sempre da dove vengo». Una ricchezza che contrasta con la complessità delle lingue e dei contesti nei quali oggi si muove, dal dialogo con israeliani e palestinesi alle trattative che in passato lo hanno visto operare tra russi e ucraini.
«Conosco e vedo ogni giorno cosa le guerre generino nell’umanità – confida –. Ogni volta che torno in Calabria, e cerco di farlo appena posso, ritrovo pace. È qui che ricarico le energie per affrontare le sfide dei conflitti».
La sua è la storia di un giovane partito da Scilla con lo sguardo rivolto al mondo, che ha scelto di mettere il proprio talento al servizio delle popolazioni più fragili. Un calabrese che, pur vivendo nei luoghi più difficili e dolorosi del pianeta, porta dentro di sé la sua terra come bussola e rifugio.